Noir

Chi non ricorda “Il corvo”, film capolavoro di Henry Clouzot? Ritratto amaro ed impietoso degli abitanti di una cittadina di provincia, la cui apparente tranquillità viene sconvolta da una serie di lettere anonime in un crescendo maestrale di tensione e di sospetti, il film ha segnato uno dei momenti di maggior splendore nella storia del cinema noir francese. Di questo e di molti altri gioielli del genere, più o meno noti, parla un libro, “Cinema poliziesco francese”, edito dalla genovese “Le Mani” (215 pp., 15 euro): l’autore, Mauro Gervasini, è critico cinematografico ed esperto di “polar”, cioè appunto di poliziesco francese.
Dal libro di Gervasini emergono, attraverso l’analisi della storia del cinema noir francese fin dalle sue origini (i primi due polar del cinema transalpino “La nuit du carrefour” di Renoir e “La tête d’un homme” di Duvivier, furono, guarda caso, ispirati a romanzi di Georges Simenon), le caratteristiche proprie e le differenze con altri filoni analoghi, come il poliziesco americano. I registi francesi, infatti, hanno da sempre preferito porre l’accento sull’approfondimento psicologico dei personaggi, scavando nella loro storia personale, analizzando l’ambiente e le circostanze più che preoccuparsi dell’intrigo o dell’azione: basti pensare al “Fantomas” di Louis Feuillade del 1912, e poi a “Pépé le moko”, a “Il Porto delle nebbie” (“Quai des brumes”), indimenticabile interpretazione di Jean Gabin e Michèle Morgan del 1938, ma anche ad opere meno conosciute ma ugualmente interessanti come “Piena luce sull’assassino” del 1961, dominato dal bravissimo Pierre Brasseur.
Un capitolo a parte è dedicato dall’autore di “Cinema poliziesco francese” al regista Jean Pierre Melville la cui produzione rappresenta il momento di sintesi fra noir francese e poliziesco americano. Melville diresse numerosi film culto, come “Tutte le ore feriscono, l’ultima uccide” con Lino Ventura ed “Le Samuraï”, intrigante e raffinata analisi del codice d’onore di una singolare figura di killer, con un Alain Delon al massimo del suo fascino.

Un film da vedere

Trovo molto utile il servizio Raiplay: non soltanto offre on demand la ripetizione di programmi da poco trasmessi, ma sta poco a poco ospitando tutto l’archivio che prima era contenuto nelle Teche Rai. Ieri, come mio solito nel tardo pomeriggio, mi sono dedicata ai programmi visivi e curiosando nel reparto dei film vintage, ho trovato un film, “Moglieamante”, per la regia di Marco Vicario, con Marcello Mastroianni e Laura Antonelli. Non è la solita commediola pruriginosa anni Settanta, è un film strutturato, dai toni D’Annunziani, che avrebbe potuto, forse con maggior successo di critica, essere diretta da Luchino Visconti. Ecco la trama: Agli inizi del Novecento Luigi (Mastroianni), ricco commerciante di vini della provincia veneta, conduce uno stanco ménage coniugale con la moglie Antonia (Laura Antonelli), afflitta da disturbi isterici e costretta a letto da calmanti e sonniferi. In un periodo di accese dispute politiche, nessuno sospetta in lui un anarchico e un autore (con lo pseudonimo di Ulisse) di opuscoli clandestini che incitano alla rivolta. Assistendo involontariamente a un omicidio, Luigi crede di essere ricercato ed è costretto a nascondersi nel granaio della casa di suo cugino Vincenzo (Gastone Moschin). La sparizione del marito costringe Antonia a vincere la sua malattia immaginaria e ad occuparsi degli affari di famiglia: con il calesse comincia ad andare in giro dai clienti e, nel corso di queste visite, non solo viene a sapere delle simpatie anarco-libertarie di Luigi, ma anche delle sue molte relazioni extraconiugali. Credendo Luigi ormai morto, Antonia comincia ad assaporare il piacere di una ritrovata libertà e a sperimentare una vita intima che il marito, donnaiolo fuori casa, ma frigido con la moglie, le aveva sempre negato, nella ipocrita convinzione di poter vivere una doppia esistenza. Dal granaio di Vincenzo, che si trova proprio di fronte a casa sua, Luigi può spiare la donna e, sempre più stupito dalle capacità manageriali della moglie, avvinto dal fascino che le esperienze amorose le conferiscono e in definitiva roso dalla gelosia, prende atto della incredibile metamorfosi di Antonia, che si completa quando lei scopre che il marito è vivo: ora Antonia, sapendo che lui la osserva, si spinge ancor più nella provocazione e l’effetto sarà quello di far uscire dal nascondiglio Luigi, ferito nell’onore, e di farlo tornare a casa.
Da vedere: anche se in alcune scene è un pò osé, tutto è espresso con grande delicatezza, niente a che vedere con analoghe scene nel cinema contemporaneo.

Di giallo in giallo

Ieri sera si è svolta in una libreria genovese, la presentazione del mio ultimo romanzo, Février e un caso di coscienza. Il giornalista che ha presentato il libro, facendo grande attenzione (grazie a lui) a non svelare troppo della trama, ha messo l’accento su alcuni aspetti del mio investigatore pianista che lo distinguono nettamente dai più recenti protagonisti della scena giallistica contemporanea. E mi piace, quindi, riprendere i suoi pensieri per provare a svilupparli un po’, illuminandoli con una luce personale, quella dell’autrice.

Audemars Février è un neofita della scena del crimine, non è né un poliziotto, né un magistrato inquirente, si trova coinvolto in modo assolutamente casuale in un delitto e agisce non come un investigatore professionista, ma come un musicista, dominato da un lato dalla logica e dall’altro dalla sensibilità, intesa come quella particolare capacità di entrare in contatto empatico con gli altri protagonisti della vicenda. E’ un attento osservatore delle reazioni umane, è intuitivo, ironico, e non manca di una certa simpatia.  Ma un personaggio del genere, in un mondo letterario di poliziotti tormentati, sboccati, spesso in bilico tra il bene e il male, a volte violenti e anaffettivi, può trovare gradimento presso il pubblico? E’ il pubblico che chiede questo tipo di personaggi o si adegua semplicemente a una moda che, forse per pigrizia inventiva, sa un po’ di ripetitività concettuale e caratteriale e che pecca in eccesso sotto il profilo della violenza e della scarsa considerazione dei valori morali? Se pensiamo al permanente successo, anche presso le generazioni più giovani di lettori, di personaggi come Nero Wolfe, Philo Vance, Sherlock Holmes, Hercule Poirot, dovremmo rispondere che Audemars Février potrebbe conoscere un grande successo, se solo funzionasse bene il famoso passaparola, perché un’indagine su un delitto, per quanto efferato questo possa essere, non deve basarsi necessariamente sulla violenza, sul sangue, sulle bestemmie. Ci può essere quel sottile e raffinato profumo di “vintage” investigativo che colpisce la mente, non la pancia. Il guaio è che la nostra è una società di pancia e di fast view: leggiamo non più di dieci righe per volta, saltiamo di palo in frasca, consumiamo tutto in fretta, siamo colpiti dalle immagini forti perché sono di impatto, non richiedono riflessioni e non coinvolgono le nostre armi più spuntate, in questo terzo millennio: l’intuito e la deduzione.

Chi sono in dieci titoli

Non mi piace parlare di me, preferisco sempre parlare degli altri. Però, per dare qualche idea del mio carattere ho inventato un gioco:

A dodici domande personali ho risposto con dodici titoli di libri o di film che ho amato.

Chi li conosce capirà.

1. Sei maschio o femmina? Fuoco Greco

2. Descriviti: La donna che visse due volte

3. Cosa provano le persone quando stanno con te? Torrenti di primavera

4. Descrivi la tua relazione precedente: L’uomo senza qualità

5. Dove vorresti trovarti?  Ventimila leghe sotti i mari

6. Come ti senti nei riguardi dell’amore? Segreti

7. Com’è la tua vita?  Garofano Rosso

8. Che cosa chiederesti se avessi a disposizione un solo desiderio? Le mille e una notte

9. Di’ qualcosa di saggio: Ancora una volta con sentimento

10. Chi o cosa temi?  Orgoglio e pregiudizio

11. Un rimpianto: La casa in cima alla collina

12. Un consiglio per chi è più giovane: cammina non correre!