Asimmetrie amorose nel romanzo gotico

1. L’orrido e il sublime, il panico e l’estasi, l’amore e l’odio: sono, questi, tutti gli ingredienti di una ricetta di successo, che ha conquistato stuoli di lettori, soprattutto inglesi, nell’arco di più di un secolo e che ha influenzato anche alcuni generi letterari successivi, tornando poi recentemente alla ribalta grazie a saggi e raccolte1.

La ricetta cui mi riferisco è quella del “romanzo gotico” o Gothic Novel, il tipo di narrazione che meglio esprime la poetica del tetro e del lugubre nella letteratura mondiale. E’ mia intenzione soffermarmi, più che sulle molte caratteristiche note del romanzo gotico, su un suo aspetto particolare, quello dell’evolversi in esso del rapporto amoroso. La “asimmetria amorosa” che costituisce il titolo di questo articolo attiene proprio allo sviluppo dei sentimenti nei protagonisti delle storie di molti dei più celebri romanzi gotici, uomini e donne coinvolti, volontariamente o loro malgrado, in vicende oscure e tremende. Mi pare così interessante compiere una sorta di “ermeneutica dei sentimenti” negli intrecci amorosi che i vari autori disegnano, cogliendone gli aspetti di analogia e le differenze.

2. Ma quali sono stati gli esordi del romanzo gotico? Vi sono a questo proposito due aspetti che occorre tenere presenti per comprendere il motivo del successo di questo genere letterario. Il primo aspetto è quello della contrapposizione tra razionale e irrazionale nella cultura della seconda metà del Settecento: nel secolo dei Lumi e della razionalità dominante, una fronda artistica e letteraria cominciò a proporre in modo sempre più convinto la forza dei sentimenti e delle emozioni. Questa opposizione, che porterà più tardi allo sviluppo del Romanticismo, grazie a una non comune commistione tra arte e letteratura traeva ispirazione dal Gotico architettonico, in cui domina una decisa predilezione per il lugubre, per le rovine e per immagini paurose e deformate dalla fantasia onirica. Lo scopo degli scrittori gotici era di impressionare lo spettatore e di coinvolgerlo in un tourbillon di situazioni totalmente al di fuori dell’ordinario: passaggi segreti, interminabili sotterranei, fitte foreste, castelli diroccati e cimiteri erano i luoghi dove immancabilmente si svolgevano e spesso avevano il loro epilogo le vicende dei protagonisti.

Un secondo aspetto che aiuta a chiarire il perché della diffusione del romanzo gotico è la capacità di queste storie di riflettere da un lato i timori e le incertezze degli uomini che vissero nel periodo compreso tra la fine del Settecento e la fine dell’Ottocento per la sorte dell’umanità (non dimentichiamo che molti Paesi furono sconvolti da rivoluzioni civili e militari e che l’Inghilterra fu interessata dal fenomeno sociale della Rivoluzione Industriale); dall’altro la loro diffidenza verso la religione. Il romanzo gotico esprimeva proprio questo disagio latente dell’uomo e del suo io profondo in rapporto con la natura e con la società: le sensazioni forti che i lettori traevano da quei racconti veicolavano ansie, patemi, incubi e fobie che nella vita di tutti i giorni non potevano trovare sfogo; il soprannaturale stimolava l’immaginazione e riusciva a soddisfare il bisogno di piacere e di terrore, offrendo rompicapi capaci di sfidare la razionalità.

3. Di questa corrente letteraria, romanzo pilota fu Il Castello d’Otranto di Horace Walpole, il quale spiegò in una lettera del 9 marzo del 1765 la nascita del suo capolavoro: “Volete che vi confessi quale fu l’origine di questo romanzo? Un mattino, all’inizio dello scorso giugno, mi svegliai da un sogno di cui riuscivo soltanto a ricordare che m’era parso di trovarmi in un antico castello e che sul pianerottolo più elevato di un grande scalone avevo visto una mano gigantesca, rivestita d’una armatura. La sera stessa sedetti a tavolino e cominciai a scrivere, senza avere la minima idea di ciò che intendessi dire o raccontare. Il lavoro mi crebbe tra le mani e mi ci affezionai; per di più ero lietissimo di occuparmi”2.

In Il Castello d’Otranto, ambientato nell’Italia medievale, luogo, secondo l’autore, di intrighi e delitti, si affiancano due convenzioni narrative che fino a quel momento erano state tenute ben distinte: il soprannaturale e il quotidiano. L’effetto è quello di una brutale irruzione dell’assurdo nella vita reale e di una liberazione improvvisa della storia da regole e preoccupazioni di verosimiglianza. La morte del giovane Conrad schiacciato da un gigantesco elmo caduto da non si sa dove e altri eventi soprannaturali (l’apparizione di enormi braccia, di fantasmi, ecc.) costellano la vicenda principale, in cui il signore di Otranto, il crudele e cinico Manfred, cerca invano di conservarsi castello e dominio, arrivando persino a ripudiare sua moglie e a tentare di sostituirla con la promessa sposa del figlio defunto. Non riuscirà però nella sua impresa, anche grazie all’intervento di un giovane di nobili sentimenti.

Comincia qui già a delinearsi, seppure in modo imperfetto, l’asimmetria amorosa di cui si è detto. Lo schema è quello che vede una donna bella e pura contesa tra due uomini, di cui uno è l’incarnazione del bene, l’altro l’incarnazione del male. L’amore per la stessa donna oppone i due protagonisti, sempre guidati nelle loro azioni dal desiderio di conquistarla. E questa lotta per la conquista, se nella maggior parte dei casi si conclude con la sconfitta dell’eroe negativo, ne vede alcune volte una sorta di redenzione conclusiva nella morte, a insegnamento che il lato oscuro e dominato dalle passioni primordiali presente in ciascun uomo, può essere dominato e vinto grazie anche alla presenza positiva della donna, la cui funzione salvifica è evidente.

4. Addentrandoci un po’ di più nello specifico delle storie e nella psicologia dei personaggi, è subito da notare che la figura dell’eroe malvagio è presente in tutti i romanzi tipicamente gotici e in quelli che da essi trassero ispirazione, tra i quali si fa rientrare, per convenzione (Manzoni aveva amato molto la produzione gotica) anche I Promessi Sposi.

La cosiddetta “Scuola del terrore” avviata da Walpole ebbe presto molti accoliti: la scrittrice inglese Ann Radcliffe, per esempio, che esordì nel 1789 con The Castles of Athlin and Dunbayne, e fu poi consacrata come l’esponente più significativa del romanzo storico in chiave gotica con Il romanzo della foresta (1791) e I Misteri di Udolpho (1794). Con Il Monaco di Matthew Gregory Lewis il romanzo gotico raggiunse una delle sue più alte vette: il romanzo racconta di un monaco che su istigazione del demonio perseguita una giovane donna. Ecco di nuovo il male incarnato in un personaggio maschile. In questo, come nei precedenti citati, tuttavia, l’approfondimento psicologico è ancora molto in embrione. Occorrerà aspettare gli inizi dell’Ottocento per avere due romanzi gotici in cui gli autori mostrano una vera capacità di sottile analisi psicologica dell’eroe del male e una tecnica letteraria più moderna: si tratta di Melmoth l’errante di Charles Robert Maturin e di Frankenstein o il moderno Prometeo di Mary Wollstonecraft Shelley. In Frankenstein, in particolare, si rivelano i prodromi di un progresso nell’intreccio amoroso e una maggiore propensione a delineare il personaggio negativo meno cinico e spietato. La storia è nota: lo scienziato Frankenstein viola le regole che delimitano la possibilità di conoscenza e di creazione dell’uomo, e dà vita a un mostro: ma questo mostro non è malvagio in sé, è solo ribelle contro la società che lo vuole emarginare, se non addirittura eliminare. Egli chiede al suo creatore di procurargli una compagna e quando costui rifiuta, reagisce con queste parole: “sono malvagio perché sono infelice. Non sono io evitato e odiato da tutta l’umanità? Tu il mio creatore mi faresti a pezzi con piacere; pensa un po’ a questo e dimmi, perché dovrei avere pietà per l’uomo più di quanto egli ne ha per me?”.

La stessa psicologia anima un altro “mostro”, il celebre Erik de Il Fantasma dell’opera. In questo romanzo tardogotico (1910) il giornalista francese Gaston Leroux delinea il prototipo dell’eroe spaventoso e sfortunato, follemente innamorato di una donna che non sarà mai sua. Con Il Fantasma dell’Opera l’asimmetria amorosa tocca il suo vertice, grazie anche alla particolare sensibilità della protagonista femminile, Christine Daaé. Mentre nei romanzi precedenti la propensione dell’eroina per il mostro era quasi sempre inesistente, perché ella era solo oggetto e non soggetto di amore, qui in Christine Daaé l’amore per il bel Raoul e la pietà verso Erik convivono e lottano contemporaneamente, sono due elementi cardine di tutta la vicenda e rendono il romanzo un’allegoria dell’amore. Christine, infatti è mossa da profonda compassione per Erik, che soffre e che è stato creato così orribile eppure così sublime. Tematiche, queste, che si ritrovano anche ne Il Gobbo di Nôtre Dame di Victor Hugo e nella fiaba de La Bella e la Bestia.

La lotta tra Raoul ed Erik rappresenta, meglio che in altri romanzi del genere, l’espressione della lotta tra amore carnale e amore spirituale, tra sensi e spirito. Alla fine, la redenzione conclusiva di Erik, che lascia i due giovani liberi di vivere il loro amore, riconduce ad unità le due facce del sentimento. E’ certamente questa la soluzione psico-sentimentale più giusta e di ciò si rese conto anche il regista Francis Ford Coppola, che nel suo film Dracula di Bram Stoker del 1992 rese schiavo d’amore anche il Conte vampiro, immaginando che per lui Mina Harker fosse la reincarnazione dell’unica donna mai amata e che lei lo corrispondesse, e gli regalò una redenzione conclusiva nel momento della morte.

1 Cito fra tutte la recentissima raccolta di saggi curata da Francesca Billiani e Gigliola Sulis dal titolo The Italian Gothic and Fantastic. Fairleigh Dickinson University Press, 2008.

2 La citazione è tratta da The Yale Edition of Horace Walpole’s Correspondence, a cura di W.S. Lewis, Oxford University Press, 1937.

Un film da vedere

Trovo molto utile il servizio Raiplay: non soltanto offre on demand la ripetizione di programmi da poco trasmessi, ma sta poco a poco ospitando tutto l’archivio che prima era contenuto nelle Teche Rai. Ieri, come mio solito nel tardo pomeriggio, mi sono dedicata ai programmi visivi e curiosando nel reparto dei film vintage, ho trovato un film, “Moglieamante”, per la regia di Marco Vicario, con Marcello Mastroianni e Laura Antonelli. Non è la solita commediola pruriginosa anni Settanta, è un film strutturato, dai toni D’Annunziani, che avrebbe potuto, forse con maggior successo di critica, essere diretta da Luchino Visconti. Ecco la trama: Agli inizi del Novecento Luigi (Mastroianni), ricco commerciante di vini della provincia veneta, conduce uno stanco ménage coniugale con la moglie Antonia (Laura Antonelli), afflitta da disturbi isterici e costretta a letto da calmanti e sonniferi. In un periodo di accese dispute politiche, nessuno sospetta in lui un anarchico e un autore (con lo pseudonimo di Ulisse) di opuscoli clandestini che incitano alla rivolta. Assistendo involontariamente a un omicidio, Luigi crede di essere ricercato ed è costretto a nascondersi nel granaio della casa di suo cugino Vincenzo (Gastone Moschin). La sparizione del marito costringe Antonia a vincere la sua malattia immaginaria e ad occuparsi degli affari di famiglia: con il calesse comincia ad andare in giro dai clienti e, nel corso di queste visite, non solo viene a sapere delle simpatie anarco-libertarie di Luigi, ma anche delle sue molte relazioni extraconiugali. Credendo Luigi ormai morto, Antonia comincia ad assaporare il piacere di una ritrovata libertà e a sperimentare una vita intima che il marito, donnaiolo fuori casa, ma frigido con la moglie, le aveva sempre negato, nella ipocrita convinzione di poter vivere una doppia esistenza. Dal granaio di Vincenzo, che si trova proprio di fronte a casa sua, Luigi può spiare la donna e, sempre più stupito dalle capacità manageriali della moglie, avvinto dal fascino che le esperienze amorose le conferiscono e in definitiva roso dalla gelosia, prende atto della incredibile metamorfosi di Antonia, che si completa quando lei scopre che il marito è vivo: ora Antonia, sapendo che lui la osserva, si spinge ancor più nella provocazione e l’effetto sarà quello di far uscire dal nascondiglio Luigi, ferito nell’onore, e di farlo tornare a casa.
Da vedere: anche se in alcune scene è un pò osé, tutto è espresso con grande delicatezza, niente a che vedere con analoghe scene nel cinema contemporaneo.